La zeppola
Forse il dolce più antico di Napoli, sicuramente il primo da strada: la ricetta è molto semplice, un po’ di farina setacciata, sale, acqua e vino caldi per ottenere un impasto morbido e liscio da cui si ottengono piccole ciambelle che ricordano la
chiave della vita egiziana, poi fritte in olio bollente ma non fumante, asciugate e spolverate con zucchero e cannella. Prima dell’arrivo dello zucchero si usava il miele, mentre la frittura spesso veniva fatta con lo strutto. Stesso nome, ma dolce assolutamente diverso è la zeppola di San Giuseppe, una tradizione molto sentita in città. In questo caso l’impasto è simile a quello degli choux, detti anche bignè. La differenza è nella minore quantità di burro e nella cottura: le zeppole vanno infatti fritte, mentre i bignè si cuociono in forno. Anche in questo caso le zeppole sono fritte in olio caldo ma non fumante, asciugate e spolverate di zucchero a velo, poi si
aggiunge la guarnitura di crema pasticcera e tre grani di confettura di amarene.
Questa zeppola è entrata a far parte della tradizione alla fine dell’800, come modifica arricchita, in onore del papà, di quella quotidiana. Una variante moderna è con la cottura al forno. Ma le origini antropologiche della zeppola risalgono alla celebrazione della festa romana delle Liberalia, divinità del vino e del grano, celebrata il 17 marzo. In onore di Sileno, compagno di bagordi e precettore di Bacco, si bevevano fiumi di vino e si friggevano profumate frittelle di frumento. Oggi, quasi nello stesso giorno, il 19 marzo, e in occasione di San Giuseppe si ripete la cerimonia delle frittelle. Le zeppole fritte si trovano ovunque, nei bar, nelle panetterie, nelle pasticcerie, adesso sono state adottate anche da molti ristoranti nella loro forma mignon. Imperdibili.