Non ci sono molti dubbi: la sfogliatella è nata in convento e cresciuta a via Toledo, la strada del passeggio borghese nell’800. La ricetta di questo dolce creativo di città viene elaborata in Costiera Amalfitana, nello splendido convento di Santa Rosa, lungo la strada che da Amalfi si inerpica verso il cielo tra le gole e gli anfratti di Furore. Qui, come in tutta la Terra delle Sirene, è lievitata la tradizione della pasticceria in odore di santità come nel caso della melanzana con la cioccolata o degli infusi come il nocillo e il limoncello preparati dalle monache che li commercializzavano per procurarsi reddito. Già, perché al netto del tempo dedicato alla preghiera e alla contemplazione della spettacolare natura di questi luoghi, le suore di clausura curavano orto e vigna per poter essere autosufficienti e ridurre
al minimo i contatti con l’esterno sempre ricco di occasioni per peccare. Narra la leggenda che in un anno imprecisato del XVII secolo la suora addetta alla cucina si accorse che era avanzata un po’ di semola cotta nel latte. Ebbe l’idea di aggiungere un po’ di frutta secca, zucchero e limoncello sistemando la farcia tra due sfoglie ammorbidite con lo strutto, il principale grasso della Costiera sino al moderno arrivo dell’olio d’oliva, e un po’ di vino bianco dando al dolce la forma di un cappuccio di monaco. Si dice che questo dolce delicato, religioso, non eccessivo in
nulla, giocato sulla doppia consistenza della sfoglia e del ripieno sempre in equilibrio fragile fra loro, fosse immediatamente commercializzato in zona, almeno sino al 1818, quando Pasquale Pintauro, titolare di una osteria a via Toledo, di
fronte a Santa Brigida, entrò in possesso della ricetta. Un’illuminazione commerciale, l’osteria fu immediatamente convertita in pasticceria con una leggera variazione sul tema per vendere più facilmente il dolce adeguandolo ai gusti del tempo: tolta la protuberanza a forma di cappuccio, la sfogliatella diventa quasi una conchiglia in stile rococò. Oggi due sono le basiliche dove si celebra il rito della sfogliatella: Pintauro a via Toledo come duecento anni fa e Attanasio vicino alla stazione in una traversa di piazza Garibaldi. Questo forno fu aperto il 4 ottobre del 1930 da Vincenzo e dalla moglie Carmela Fabbrocino. La sfogliatella può essere riccia o frolla. La sfogliatella è un dolce moderno anche se rappresenta l’anima della città antica quando ancora il commercio creava i prodotti, proprio come in questo caso. Nel linguaggio comune si gioca con il nome del dolce e il foglio di carta bollata o atto giudiziario, «mi è arrivata una bella sfogliatella» vuol dire che in qualche modo si ha a che fare con la cosa pubblica: un’ingiunzione, una citazione, una multa, un sequestro. Comunque una seccatura, più o grande, mai irrimediabile, edulcorata dall’essere sostantivo femminile, dall’idea della piccola dimensione e dall’immediato rimando nel subconscio al dolce. La sua modernità è certificata dalla subitanea adozione in tutta l’alta ristorazione che l’ha ridotta un po’ nelle dimensioni e spesso ne ha offerto versioni salate con ricotta e formaggio, salame o, meglio ancora, con verdura come broccoli e scarola. Non si tratta di cineserie: nelle migliori pasticcerie e gastronomie di Napoli come Scaturchio, Luise, Moccia e Augustus si trovano quotidianamente.
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