Bulimia: intervista al Dott. Giorgio Ioimo
Oggi affronteremo di un disturbo alimentare che colpisce soprattutto la sfera femminile, parliamo di bulimia con il Dott. ioimo e faremo qualche domanda un po’ più specifica sul tipo di disturbo e sulla sua soluzione.
Che cosa è la bulimia?
La bulimia etimologicamente significa “fame da bue” e viene confusa molto frequentemente con altri due disturbi che sono il vomiting ( abbuffarsi per il piacere di vomitare) ed il binge eating (abbuffarsi per poi astenersi). La persona bulimica tende ad abbuffarsi con medie o grandi quantità di cibo senza selezionarle e sperimenta un senso di impotenza in quanto non è in grado di gestire il rapporto con il cibo.
Come si forma la bulimia?
Le motivazioni possono essere svariate ma nella maggior parte dei casi si possono racchiudere in difficoltà nel gestire le relazioni vissute come terrorizzanti. In questa casistica ricadono i bulimici definiti boteriani i quali sono altamente in sovrappeso ed il grasso è una sorta di coltre utile a mantenere a distanza gli altri. L’altra variante della bulimia è quella che viene definita yo-yo cioè persone che mantengono per un breve periodo la dieta e poi la dismettono. Sono persone non in sovrappeso ma, con qualche chilo di troppo dovuto alla noia provata per la routine quotidiana.
La bulimia come si differenzia dal vomiting e dal binge eating?
Le persone che soffrono di vomiting a differenza dei bulimici si abbuffano per il piacere di vomitare. In altri termini si abbuffano perché vanno alla ricerca del vomito la cui ripetizione lo trasforma in un rito piacevole. La base di partenza è di stampo anoressico: inizialmente infatti il vomito viene utilizzato come condotta per evitare di ingrassare per poi, attraverso la ripetizione, trasformarsi in un rito piacevole. La dinamica del binge eating invece è più simile a quella bulimica ma, con le dovute differenze: la persona che soffre di binge eating tende ad abbuffarsi come la persona bulimica ma, le quantità di cibo che ingerisce sono nettamente maggiori. Inoltre prima dell’abbuffata è presente un lungo periodo di astinenza da tale condotta ed è presente un’attenzione maniacale alle calorie che vengono ingerite durante l’abbuffata. Infine si ha una tendenza a svolgere attività fisica per smaltire le calorie assunte, cosa che non viene praticata dalle persone bulimiche.
La bulimia quindi è più semplice da trattare rispetto agli altri due disturbi?
Per quanto concerne la fase iniziale probabilmente la risposta è affermativa ma, durante lo svolgimento del trattamento le difficoltà sono molteplici. La prima è legata al far perdere i restanti chili di troppo alle persone eccessivamente in sovrappeso le quali hanno una certa resistenza nello svolgere regolare attività fisica. La seconda è legata al renderli abili nelle relazioni interpersonali all’interno delle quali si sentono inetti e per tale motivo si sono rifugiati nel cibo ed hanno usato il grasso in eccesso come strategia relazionale utile a tenere gli altri a distanza.
In quanto tempo si risolve la bulimia?
Le tempistiche sono soggettive ma, in linea di massima, il contratto terapeutico previsto nelle sessioni di psicoterapia breve strategica è di dieci sedute ossia ci si da un tempo limitato per cercare di sbloccare la situazione. Se si vedono dei risultati ed è necessario proseguire nell’intervento si prosegue, diversamente se entro dieci sedute la problematica non si modifica si decide di interrompere il trattamento. Questa modalità di procedere è utile per evitare di diventare complici nel mantenimento del problema.
Quali le psicoterapie indicate?
Secondo la letteratura scientifica i trattamenti d’elezione sono la psicoterapia breve strategica e la psicoterapia cognitivo comportamentale. La differenza tra i due orientamenti, sebbene siano speculari, concerne la logica di sblocco del disturbo: per la psicoterapia breve strategica la logica è quella del cambiamento, per la psicoterapia cognitivo comportamentale è quella dell’apprendimento. Per essere più chiari, il terapeuta cognitivo comportamentale cerca di educare il paziente a pensare e ad agire in modo differente, il terapeuta strategico diversamente cerca, attraverso esperienze comportamentali, di cambiare la percezione del paziente. E così si
finisce in trappola.